La Storia insegna che i più grandi conflitti avvengono in quei paesi che hanno grandi risorse energetiche e sarebbe ingenuo pensare che ciò sia una coincidenza.
I decenni passati sono stati, infatti, costellati di importanti guerre che, alla radice, avevano l’obiettivo di controllare le fonti di approvvigionamento del pianeta. Quando Saddam Hussein invase il Kuwait appellandosi ad un diritto secondo lui concessogli da una vantata supremazia territoriale, in realtà mirava ai pozzi petroliferi kuwaitiani. Gli Stati Uniti non rimasero indifferenti e ciò che successe in seguito è storia recente scolpita non solo nella nostra memoria ma anche, purtroppo, nei nostri occhi grazie alle immagini che sono scorse ripetutamente sugli schermi televisivi.
Da quel 2 agosto del 1990, notte dell’invasione irachena del Kuwait, si sono susseguite tante guerre a cui hanno partecipato, e partecipano, come protagonisti, in nome di libertà e giustizia, i paesi occidentali, grandi consumatori di riserve energetiche.
Oggi i più attenti non si saranno lasciati sfuggire che qualcosa sta cambiando: dai combustibili liquidi, infatti, petrolio e derivati, l‘attenzione si è rivolta ai gas. Purtroppo, però, pur essendo cambiato l’oggetto di interesse, non è cambiata la modalità per ottenere il controllo dell’oggetto stesso.
Sul grande tabellone del Risiko mondiale le tensioni e le guerre si sono spostate in quei paesi che sono o i più grandi produttori ed esportatori di gas o si trovano sulla linea dei gasdotti che arrivano in Europa. Libia, Siria, Egitto, Algeria e lo stesso Iraq, per quanto riguarda il Medio Oriente, ma anche Russia e Ucraina, la prima produttrice, la seconda detentrice dei gasdotti che arrivano anche in Italia, questione, quest’ultima, che tiene tutti noi col fiato sospeso per il rischio che da un giorno all’altro ci venga staccato in modo arbitrario l’approvvigionamento di cui, ahimé, siamo schiavi.
Per fortuna qualcuno cerca, e trova, soluzioni preventive. Come Eugene Chernigov, docente di fisica e matematica ucraino, il quale ha trasformato la sua vecchia Opel in una macchina a gasogeno alimentata a legna. Ha, infatti, dotato la parte posteriore della sua auto di una stufa e di un contenitore in cui immagazzinare i gas prodotti dalla combustione della legna, ha effettuato qualche variazione su candele e carburatore e ha messo sulle strade una macchina che va avanti grazie a tronchetti di legno. Risultato davvero sorprendente.
A dire il vero Eugene non si è inventato nulla di nuovo perché la macchina a gasogeno è già stata sperimentata ed usata nel secolo scorso ed ha raggiunto il suo apice produttivo durante la II Guerra Mondiale.
I primi studi risalgono ai primi del ‘900 ma è dopo la grande crisi mondiale del 1929 che, grazie all’ingegnere tedesco Georges Imbert che fu il primo a sviluppare questa tecnologia in ambito automobilistico, si iniziò la produzione di auto a legna. Durante la II Guerra Mondiale si ebbe l’impennata produttiva poiché i carburanti più “convenzionali” erano riservati all’ esercito e si arrivò, dunque, a contare in tutta Europa decine di migliaia di modelli di auto e mezzi pubblici alimentati con combustibili solidi.
Già, però, dagli anni ’50 si osservò un potente declino dell’utilizzo di questa tecnologia a favore dello sviluppo di altre più prestanti e sicuramente più efficaci.
Ma vediamo come funziona l’auto a gasogeno.
Il funzionamento si basa sul principio della gassificazione, ovvero la conversione di materiale solido ricco di carbonio in gas. I materiali organici vengono convertiti in gas attraverso un processo di dissociazione molecolare, chiamato pirolisi, grazie alla quale le molecole complesse contenenti carbonio vengono scisse in molecole più semplici di monossido di carbonio, di metano e di anidride carbonica.
I gas prodotti vengono, quindi, immagazzinati in un contenitore metallico all’interno del quale vengono sottoposti a processi di raffreddamento e filtraggio e, in ultimo, vengono mandati al motore che da essi viene alimentato.
Questo il procedimento chimico che ne attiva il funzionamento.
Ma per quanto riguarda le prestazioni, i vantaggi e gli svantaggi che si può dire?
Ad esempio la Opel di Eugene Chernigov ha bisogno di 40 kg di legna per percorrere 100 km ad una velocità massima di 90 km/h. Certo non sono prestazioni di Formula 1, ma se si considera che 40 kg di legna costano circa 40 centesimi di euro, il vantaggio è innegabile.
Per parlare degli svantaggi non si può certo negare che la mancanza di “distributori” sul territorio non aiuta, ma Eugene assicura che se carica di legna il divanetto posteriore riesce ad avere un’autonomia di 400 km.
Ad onor di cronaca va detto che l’ucraino non è stato il primo di questo nuovo millennio a costruire la macchina a legna. Eugene Chernigov ha, infatti, un predecessore molto più titolato e famoso di lui.
È del 2014 la notizia che Juha Sipila, imprenditore miliardario ma, soprattutto, Primo Ministro della Finlandia da maggio del 2015, ha convertito la sua Chevrolet dotandola di un impianto di gassificazione che gli permette un’autonomia di 200 km con 80 kg di legna.
Insomma, la tecnologia c’è e la possibilità di svilupparla, per potersi sganciare dalle dinamiche ricattatorie di certe nazioni, di certo non manca.
Basta volerlo.