Sergio Marchionne, classe 1952, Amministratore Delegato di Fiat Chrysler Autmobiles e Presidente della Ferrari, il 14 dicembre, a margine di una conferenza stampa tenutasi a Maranello in occasione dello scambio di auguri con la stampa specializzata del settore, complice un’apparente atmosfera informale tipica dei saluti finali, ha dichiarato: «Sogno il ritorno dell’Alfa Romeo in Formula 1, come nostro competitore». L’effetto è stato immediato. La notizia ha invaso tutti i canali d’informazione ed ha cominciato a rimbalzare come se fosse una pallina da flipper impazzita.
Che sia un caso? Molto probabilmente no. Difficile che Marchionne dia, soprattutto davanti a chi ha potere e titolo per poterle divulgare, notizie a caso. The cardiganed assassin, l’assassino col maglione, così lo definisce la stampa inglese per sottolineare il carattere aggressivo e spietato dell’AD di FCA, il quale, infatti, al termine del suo primo anno in F1 può vantare di aver già cambiato l’immagine del Cavallino, ridisegnandola più dura, antipatica e, forse, vincente rispetto a quella che la Ferrari aveva ai tempi di Montezemolo.
«Il marchio Alfa Romeo è incredibile come resti nel cuore della gente» sottolinea il buon Sergio. Ed è proprio così, perché il marchio del Biscione ha un popolo di autentici appassionati estimatori che non smettono di seguire le vicissitudini dell’azienda di Arese e di sperare in una sua rinascita. Del resto l’Alfa Romeo, casa produttrice di automobili con impronta sportiva, ha realizzato vetture che hanno segnato la storia del design della prestigiosa industria automobilistica italiana in modo inappellabile. Basta fare qualche nome e qualche numero per darne la misura: chi non sobbalza al ricordo dell’Alfetta, della Giulietta o della Duetto Spider? Per non parlare delle più recenti 147 o 156 che hanno segnato sicuramente più di un’epoca.
Ma oltre che su strada l’Alfa Romeo è stata protagonista anche in pista dal 1950 al 1985, vincendo due Campionati di Formula 1, uno con Nino Farina nel ’50 ed uno con Juan Manuel Fangio nel ’51 ed ha continuato a fornire le motorizzazioni per altre case automobilistiche fino al 1987, quando, ormai assorbita dalla FIAT, dovette rinunciare per evitare il conflitto d’interessi con la Ferrari.
Per amor di cronaca bisogna dire che il declino del marchio storico del Biscione era già iniziato quando entrò a far parte della costellazione di case automobilistiche della storica azienda torinese e non lo si può certo attribuire a Marchionne, il quale guida il gruppo FIAT solo dal 2004. Anzi, il mancato decollo dell’Alfa Romeo, fin da subito nella to do list del manager italo-canadese, rappresenta, forse, una delle sue più cocenti sconfitte.
E allora vien da domandarsi: ma c’entrerà qualcosa la Giulia, nuova stella dell’Alfa Romeo, presentata a giugno scatenando tutte le aspettative del settore dell’automotive ed in vendita da fine anno? Il rilancio del glorioso Biscione è, infatti, uno degli obiettivi principali del piano industriale 2014-2018 di FCA ed un possibile ritorno ai fasti del Circus, con il conseguente tam tam mediatico a cui si sta assistendo, non fa che spostare l’attenzione sul glorioso marchio di Arese.
Ecco, dunque. Guanto lanciato. Apparentemente in sordina tra le chiacchiere innocenti di un brindisi dopo la conferenza stampa ufficiale, durante la quale, comunque, Marchionne non si era fatto mancare nulla.
«Che la Ferrari lasci la Formula 1 è un’ipotesi possibile ma molto improbabile. Se non ci vogliono noi ce ne andiamo» aveva esordito l’AD, lanciando la bomba ad Ecclestone & C. a cui ha dichiarato guerra da che è arrivato in F1, ben consapevole che l’assenza del Cavallino dalla competizione ucciderebbe il Circus e tutti gli interessi che vi circolano intorno.
«Dobbiamo vincere già in Australia la gara inaugurale. Ma per riuscirci dovremmo lavorare in inverno con il terrore di non farcela. Ho già attaccato le foto della Mercedes nel mio ufficio» aveva poi proseguito, a sancire che l’unico avversario che merita la sua attenzione è rappresentato dalle Frecce d’Argento della casa automobilistica di Stoccarda. Avvertiti.
«Dopo cinque anni a Maranello, Fernando Alonso è andato via meno ferrarista di quanto lo fosse Sebastian Vettel quando è entrato» ha concluso lapidario senza rinunciare ad un affondo di fioretto nei confronti del grande campione spagnolo che ha abbandonato la corte della Ferrari a fine 2014 per approdare in Mc-Laren e correre la stagione 2015 con risultati non certo esaltanti.
Tutto ciò prima del consueto scambio di auguri con i giornalisti, tanto per sottolineare che nel grande Circus vinche chi comanda. E che lui, l’assassino in maglioncino scuro, non ha paura di farlo.